Adozione e Scuola

martedì 6 agosto 2013

LA SCUOLA CHE AIUTA (2)

di Livia Botta

Articolo pubblicato sul numero di aprile 2013 di "ADOZIONE E DINTORNI", rivista dell'associazione Genitori Si Diventa

Nell’articolo precedente abbiamo analizzato una serie di prassi e atteggiamenti “di cornice”, indispensabili per una buona accoglienza e un buon accompagnamento scolastico degli alunni adottati. Prenderemo ora in considerazione alcuni interventi più specifici e “tecnici”, utili per affrontare problematiche e bisogni particolari che possono presentarsi, senza dimenticare che oggi la scuola sta attraversando una profonda crisi, che si manifesta in primo luogo con una scarsità di risorse che rende più faticoso il lavoro degli insegnanti e rischia di penalizzare gli alunni con particolari bisogni o fragilità.



LA COMPETENZA LINGUISTICA

Un aspetto che si tende a sottovalutare, ma che è invece da tener ben presente, è che i minori adottati, soprattutto se arrivati in Italia in età scolare, fanno spesso fatica a scuola per la loro carente competenza linguistica.

Perché se è vero che i bambini adottati hanno tempi inaspettatamente brevi nell’apprendere l’italiano, di che italiano si tratta, tuttavia? Della lingua della quotidianità, fatta di un vocabolario limitato, adatto per cavarsela nella vita di tutti i giorni ma insufficiente per padroneggiare il linguaggio dell’apprendimento scolastico, carico di polisemie, sfumature, nessi, inferenze, riferimenti culturali. Il rafforzamento della padronanza dell'italiano è pertanto fondamentale, e va portato avanti non solo all’inizio, ma anche nelle fasi più avanzate del percorso scolastico, che richiedono competenze linguistiche sempre più raffinate.

Nella fase iniziale, per i bambini che arrivano già in età scolare, può essere utile l’intervento di un mediatore linguistico-interculturale: una figura della stessa lingua e cultura d’origine del bambino, che interviene per un numero limitato di ore, su richiesta della scuola, per offrirgli un primo supporto linguistico e per introdurlo a comportamenti e modi di apprendere che possono essere anche molto diversi da quelli del suo paese di provenienza. Insegnanti forniti di una preparazione specifica per l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua (Italiano L2) potranno invece seguirlo con interventi più distesi nel tempo, sia individualmente che in piccolo gruppo, per aiutarlo a sviluppare ulteriormente le sue competenze linguistiche, in raccordo con i programmi scolastici: sempre che la scuola disponga delle risorse necessarie per attivare questi percorsi, che non rientrano nella didattica standard.



I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI (BES)

Una recente normativa scolastica, volta a potenziare la cultura dell'inclusione, presenta elementi d'interesse per l'accompagnamento scolastico dei bambini e dei ragazzi adottati.

La Direttiva Ministeriale "Strumenti d'intervento per alunni con bisogni educativi speciali" del dicembre 2012 prende atto, infatti, della complessità e del contesto variegato delle nostre classi scolastiche, all'interno delle quali non è raro incontrare alunni che possono manifestare, con continuità o solo in certi periodi, disturbi evolutivi specifici, difficoltà cognitive lievi, situazioni di svantaggio culturale, sociale o linguistico non ascrivibili a disabilità certificabili. A questi alunni la scuola s'impegna a offrire una progettazione didattico-educativa mirata e personalizzata sulle loro effettive possibilità, da documentare mediante un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che servirà agli insegnanti come strumento di lavoro in itinere e renderà chiare alle famiglie le strategie d'intervento programmate.

Si tratta di un'innovazione che potrà risultare utile per i bambini e i ragazzi adottati che presentano fragilità non riconducibili a una situazione di disabilità: essi potranno trarre vantaggio da una progettazione didattica "su misura" e flessibile, attuata solo per il tempo necessario e con obiettivi da raggiungere concordati, che in molti casi potrà avere anche una funzione tranquillizzante, con una buona ricaduta sul comportamento del bambino.



I DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO (DSA)

Anche in presenza di disturbi specifici di apprendimento (che vedono compromesse le abilità che rendono automatici i processi legati alla lettura, alla scrittura e al calcolo in soggetti con intelligenza nella norma, e che sappiamo essere presenti negli alunni adottati in percentuale leggermente superiore rispetto alla restante popolazione scolastica) la scuola è tenuta a elaborare un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e ad attivare tutte le strategie che permettano al bambino di rendere al meglio, tenendo conto delle sue difficoltà, potenzialità e caratteristiche.

La normativa di riferimento (la Legge 170/2010 e le successive Linee Guida) prevede che, a partire da una diagnosi specialistica che accerti la presenza e l'entità del disturbo, venga stilato un Piano Personalizzato che disponga gli strumenti dispensativi e compensativi (ad esempio la possibilità di utilizzare in classe la calcolatrice e il computer, il sussidio di tabelle e mappe concettuali, l'assegnazione di prove di verifica più brevi, le interrogazioni programmate...) che mettano gli alunni con DSA nelle stesse condizioni di apprendere dei loro compagni.

Nel caso di bambini adottati in età scolare, è importante ricordare che una diagnosi specialistica di DSA può essere effettuata solo dopo che siano state sufficientemente acquisite le competenze di lettura e scrittura nella nostra lingua, dunque non prima di una paio d'anni dall'arrivo.



IL SOSTEGNO

I Piani Didattici Personalizzati di cui ai punti precedenti non prevedono l'assegnazione alle classi di risorse aggiuntive. Devono essere gli insegnanti di classe a farsi letteralmente "in quattro" per metterli in pratica, calibrando e differenziando la didattica quotidiana in base ai bisogni dei singoli alunni. E a volte questa può rivelarsi un'impresa quasi impossibile, quando le differenze contemporaneamente presenti in una classe sono tante!

Nel caso di alunni con una certificazione di disabilità (rilasciata ai sensi della Legge 104/1992 ), invece, viene assegnato alla classe, per un numero di ore settimanali correlato alla gravità del caso, un insegnante specializzato nel sostegno, che può affiancare l'alunno durante il normale lavoro di classe o in attività specifiche in aule appositamente attrezzate. L'assegnazione del sostegno è decisa dagli Uffici Scolastici Regionali tenuto conto delle risorse a disposizione (purtroppo scarse al momento!) e sulla base delle certificazioni stilate dal Servizio di Neuropsichiatria Infantile della ASL di riferimento, che accertano la natura e l'entità della disabilità ed evidenziano le capacità e le potenzialità del bambino. Anche in questo caso viene stilato e sottoscritto collegialmente (scuola, servizi, famiglia) un Piano Educativo Individualizzato (PEI), che contiene gli obiettivi didattici ed educativi da raggiungere, calibrati sulle possibilità reali dell'alunno, nonché tutti gli interventi individualizzati previsti.

Spesso i genitori, anche di fronte a deficit evidenti, sono restii ad attivare le procedure necessarie per poter ottenere il sostegno, nel timore che la certificazione possa fare del loro figlio un "diverso" o farlo sentire emarginato rispetto al resto della classe. Dipende ovviamente dalla sensibilità degli insegnanti non far pesare l'intervento di sostegno come uno stigma (non dimentichiamo che l'insegnante di sostegno è un insegnante di classe che può lavorare con tutti gli alunni!). I timori dei genitori sono comprensibili, essi dovrebbero tuttavia considerare con attenzione i benefici che la certificazione garantisce, che possono essere fondamentali per consentire al figlio una scolarizzazione serena per l'intero iter scolastico. Una programmazione didattica semplificata, con obiettivi chiari e raggiungibili, può infatti tranquillizzare il bambino e disporlo più favorevolmente all'apprendimento. Avere un insegnante "tutto per sé", soprattutto nella scuola secondaria quando le discipline e i docenti si moltiplicano, può significare disporre di un punto di riferimento, un faro per orientarsi tra insegnanti e discipline: impresa assai più impegnativa di quanto si pensi per gli alunni più fragili dal punto di vista cognitivo o relazionale.



GLI OPERATORI SOCIO-EDUCATIVI (OSE)

Si tratta di personale specializzato che non fa parte dell'organico della scuola, ma che può essere richiesto all'Ente Locale, in accordo con le famiglie, per un limitato numero di ore alla settimana per gli alunni con disabilità riconosciuta. Gli operatori socio-educativi possono essere richiesti per sostenere bambini e adolescenti con disturbi del comportamento, che necessitano di migliorare le autonomie personali, che hanno bisogno di una migliore identificazione nell'adulto.

L'intervento degli OSE non sostituisce le attività didattiche, ma prevede la realizzazione di percorsi a carattere educativo integrati nel Piano Educativo Individualizzato e finalizzati a favorire l'integrazione, potenziare le autonomie personali, promuovere uno stato di benessere nel contesto scolastico.



Come si vede, il ventaglio di opportunità che possono essere sfruttate per accompagnare al meglio il percorso scolastico degli alunni - adottati e non - è ampio. Del resto anche i bambini e i ragazzi adottati che frequentano le nostre scuole sono soggetti unici e irripetibili, e diversi sono i loro bisogni: se per qualcuno sarà necessario un percorso individualizzato e "sostenuto" per l'intero iter scolastico, per altri sarà sufficiente una buona accoglienza iniziale... senza tralasciare tutte le possibili soluzioni intermedie. Sta alla professionalità e alla sensibilità degli insegnanti, unite alla disponibilità e collaborazione delle famiglie, orientarsi tra le diverse possibilità d'intervento per individuare l'aiuto che sia nello stesso tempo più utile e meno ridondante.



giovedì 25 luglio 2013

LA SCUOLA CHE AIUTA (1)

di Livia Botta

Articolo pubblicato sul numero di marzo 2013 di "ADOZIONE E DINTORNI", rivista dell'associazione Genitori Si Diventa.

Concludevo il precedente articolo “La fatica di imparare” con l’affermazione che il contesto attuale in cui il bambino adottato si misura con l’apprendimento (l’ambito familiare, la scuola) può fare molto per favorire - ma anche purtroppo per ostacolare - il raggiungimento di risultati scolastici soddisfacenti. Soprattutto per i bambini più vulnerabili, diventa dunque cruciale individuare le diverse variabili su cui è possibile intervenire e le prassi più idonee da mettere in atto.

Sul versante “scuola”, la prima riflessione è che uno dei principali ingredienti – forse il principale – della possibilità d’imparare è la qualità dell’intreccio relazionale che si instaura tra l’alunno, l’insegnante, l’oggetto di apprendimento, il gruppo dei coetanei. Per un bambino fragile, che è stato ferito nella fiducia nelle proprie capacità e negli altri, dirigere le proprie energie verso l’apprendimento sarà possibile solo in un contesto sicuro, costante e prevedibile, che non gli faccia ri-sperimentare la frustrazione del fallimento. Sarà pronto a manifestare il suo desiderio d’imparare in un contesto accogliente e supportivo, se gli si proporranno obiettivi e attività calibrati sulle sue possibilità, abbastanza semplici da risultargli comprensibili e raggiungibili grazie all’aiuto dell’adulto e sufficientemente interessanti per lui. In caso contrario, tenderà a reagire con la passività o con comportamenti oppositivi.
Quanto detto è vero per tutti i bambini, ma diventa cruciale per quelli che hanno subìto perdite o traumi, o hanno conosciuto situazioni di trascuratezza fisica o emozionale che hanno minato il loro senso di sicurezza. Mentre un bambino fiducioso nelle proprie capacità e con un sicuro senso di sé può, infatti, reagire in modo costruttivo anche a livelli di frustrazione elevati e non scoraggiarsi se l’obiettivo da raggiungere non è immediato, non è così per un soggetto più fragile, per il quale ogni frustrazione si tramuterà in un senso di vergogna che lo ferirà nel cuore dell’identità e che potrà azzerare la normale curiosità di conoscere e di imparare tipica dei bambini.
Gli alunni con queste difficoltà vanno pertanto sostenuti e incoraggiati, con una presa in carico empatica, fatta di tanti piccoli gesti che consentano loro di riconoscere l’insegnante come figura di attaccamento. Fino a quando non si sentiranno sufficientemente sicuri, andranno accompagnati passo passo nell’imparare, con le strategie che le/gli insegnanti ben conoscono: ridurre i contenuti e porre pochi obiettivi per volta; evitare le attività che si prolungano eccessivamente e proporre prove di verifica brevi; far utilizzar schemi o griglie per contrastare la dispersione del pensiero; non eccedere col registro verbale ma usare materiali iconografici e strumenti tecnologici; valutare le singole prestazioni, sottolineando i successi per potenziare l’autostima ma anche riflettendo sugli insuccessi per aiutarli a sviluppare un’immagine realistica delle proprie capacità; creare occasioni in cui possano mettere a frutto abilità che, per la loro storia e provenienza, potrebbero possedere in aree diverse da quelle linguistiche o logiche: capacità di costruire oggetti, di apprendere visivamente, di risolvere problemi concreti. Sono tutte strategie che, oltre ad aiutare concretamente il bambino, lo faranno sentire “contenuto” nella mente di un insegnante disponibile e capace di andare a incontrarlo là dove egli si trova.

Sono comportamenti che vanno comunque calibrati con misura: l’attenzione mirata non deve tramutarsi in atteggiamenti troppo protettivi, che potrebbero trasmettere un messaggio di diversità e svalutazione negativo per il bambino e ostacolare il suo positivo inserimento nel gruppo. Occasioni di apprendimento cooperativo che sollecitino accettazione e aiuto reciproco, esperienze di tutoraggio tra compagni che possano trasformarsi in relazioni amicali saranno invece preziosi per aiutare il bambino a sentirsi a proprio agio tra i pari.
L’integrazione nella classe risulterà inoltre più facile se i compagni saranno stati educati a considerare l’adozione come una delle possibili e normali modalità di “essere famiglia”. Affinché ciò accada, la scuola dovrebbe promuovere un’educazione ai rapporti familiari fondata sulla dimensione affettiva e progettuale, inserendo le tematiche legate al concetto di famiglia e di genitorialità tra gli altri argomenti di studio ed evitando di trattare l’argomento “famiglia adottiva” precipitosamente e solo a ridosso dell’ingresso di un compagno adottato, come invece spesso succede.
Evitare, quando si parla di famiglia e di genitorialità, di riferirsi allo stereotipo di una coppia con figli biologici; creare occasioni per parlare della famiglia complessa e articolata di oggi (famiglie monoparentali, ricomposte, con genitori separati o divorziati, famiglie che si ricompongono solo nel weekend, matrimoni misti, famiglie con figli adottivi o in affido); sottolineare la funzione affettiva della famiglia, intesa come capacità di saper assolvere vicendevolmente ai bisogni fondamentali delle persone (fisiologici, di sicurezza, di appartenenza e di amore, di stima e di autorealizzazione): questo lavoro porterà beneficio a tutti i bambini con famiglie non tradizionali, non solo a quelli adottati, con effetti positivi sul loro benessere psicologico e sul loro senso di sicurezza e di appartenenza.
Risulterà inoltra assai utile leggere o raccontare storie, o proiettare filmati, che presentino come naturali le diverse declinazioni della genitorialità, o storie che riflettano metaforicamente le problematiche di cui un bambino adottato può essere portatore. Un racconto può infatti parlare ai bambini di molte verità importanti in modo indiretto, avvalendosi del potere evocativo della metafora: si aiuterà così il bambino adottato a conoscersi meglio e a sviluppare la propria personalità senza sottoporlo a domande sulla sua storia, mentre i compagni saranno indotti a riflettere e ad accettare come naturale la sua condizione.
Mentre si affrontano queste tematiche, si potrà fare qualche accenno alla storia del compagno adottato, ma in modo molto “leggero” e solo per dargli la consapevolezza che lo teniamo nella mente, evitando invece di porlo sotto i riflettori con domande dirette. E’ meglio aspettare che sia lui, quando lo vorrà, a parlare della propria realtà familiare e della propria storia. Questo accadrà se ci sarà un buon clima e se il bambino percepirà la sua classe come un posto sicuro in cui poter stare “tutto intero”.

Lavorare in classe per facilitare l’inclusione significa anche evitare di proporre attività da cui i bambini adottati possano sentirsi esclusi. E qui entra in gioco la spinosa questione dell’approccio alla storia personale. Sappiamo infatti che solitamente nel secondo anno delle elementari (talvolta anche prima) si cominciano a insegnare ai bambini i primi concetti storici a partire dalla storia personale e da quella della propria famiglia, e che anche negli anni successivi (ad esempio all’inizio della scuola media) questo approccio può essere riproposto. 
Si tratta di un lavoro bello e importante, che aiuta gli alunni a collocare nel tempo fatti ed esperienze vissute, a riconoscere i rapporti di successione e contemporaneità, a prendere dimestichezza con i concetti di fonte storica, datazione, generazioni. È un lavoro che può essere di grande utilità per i bambini adottati e per altri il cui percorso di vita ha conosciuto vari passaggi, ma che può creare sofferenza se non viene affrontato con attenzione e sensibilità. Va pertanto programmato con la massima cura, ricordando che in una classe possono esserci bambini che non conoscono l’inizio della loro storia e forse neppure il nome della madre biologica, altri (come i bambini in affido) con situazioni familiari difficili alle spalle, altri ancora che hanno perduto i genitori o ne sono stati allontanati, bambini migranti che non hanno portato con sé alcun bagaglio materiale di ricordi. Per tali ragioni è importante mantenere un dialogo aperto con le famiglie, avvertendole in anticipo di quel che verrà fatto, raccogliendo le informazioni indispensabili per una programmazione che non escluda nessuno, mantenendo i progetti flessibili e rispettosi delle variabili presenti nella classe.  
Alla pagina http://www.adozionescuola.it/adozione_00000f.htm del sito www.adozionescuola.it ho raccolto esempi di diversa provenienza di attività sulla storia personale o sull'albero genealogico da realizzare in classi in cui siano presenti alunni adottati. Ma sta soprattutto alla creatività e alla sensibilità dell'insegnante calibrare i progetti sulla realtà dei singoli alunni, facendo sì che nessun bambino possa sentirsi diverso in senso negativo. Né va dimenticato che queste attività possono mettere a disagio non solo i bambini adottati ma anche i loro genitori, in difficoltà quando devono aiutarli nel compito impossibile di ricostruire il loro passato, anche perché la mancata conoscenza della storia precoce dei figli è un vuoto doloroso anche per loro.
 

Non dobbiamo nasconderci, tuttavia, che questi interventi, finalizzati a favorire il benessere del bambino adottato nella classe e dunque a disporlo positivamente all'apprendimento, non sono di agevole realizzazione nel difficile momento attuale, in cui gli insegnanti, nei diversi gradi di scuola, si trovano di fronte classi numerose di alunni portatori di molteplici diversità, in una situazione complessiva di scarsità di risorse per la scuola (personale, sussidi, formazione) che limita la possibilità di dare la giusta attenzione ai soggetti più deboli. Sono, inoltre, solo una parte delle strategie da mettere in atto, quelle che potremmo chiamare "di cornice". In molti casi possono essere necessari interventi mirati su problematiche specifiche più direttamente didattiche: di questo parleremo nel prossimo articolo.

Livia Botta
http://www.liviabotta.it
http.//www.adozionescuola.it
 

domenica 16 giugno 2013

LA FATICA DI IMPARARE

di Livia Botta

Articolo pubblicato sul numero di febbraio 2013 di "ADOZIONE E DINTORNI", rivista dell'associazione Genitori Si Diventa.

I bambini e i ragazzi adottati incontrano più facilmente dei coetanei difficoltà di apprendimento?
La risposta è sì, se consideriamo le numerose ricerche effettuate a livello nazionale e internazionale: pur nella grande varietà dei casi singoli, i minori adottati sono una categoria maggiormente vulnerabile alle difficoltà scolastiche.
Ciò non significa che per tutti i bambini adottati il percorso scolastico si presenti irto di ostacoli. Se molti hanno difficoltà anche serie, ce ne sono altri che nonostante esperienze precoci particolarmente avverse riescono ad avere una buona crescita cognitiva e a confrontarsi positivamente con l'apprendimento. E' inoltre dimostrato che bambini che incontrano difficoltà all'inizio del loro percorso scolastico possono recuperare molto, se ricevono attenzioni adeguate.
Sono molte le variabili che possono fare la differenza tra caso e caso: l'età in cui il bambino viene adottato, il paese di provenienza, la lingua appresa prima dell'adozione, le esperienze precoci, le caratteristiche della famiglia adottiva e del contesto di vita del post-adozione. Contano molto anche fattori individuali come il patrimonio genetico del bambino, il suo temperamento, la sua capacità di resilienza (cioè la capacità di far fronte e superare le esperienze avverse), senza escludere la casualità, anch'essa un fattore che influenza lo sviluppo umano.
Ma vediamo cosa ci dicono le ricerche.
La letteratura sul tema è concorde nel sostenere che, mediamente, i minori adottati presentano generiche difficoltà scolastiche e disturbi specifici di apprendimento in percentuale maggiore dei coetanei.
Il termine "disturbi specifici di apprendimento" si riferisce a difficoltà tipiche di lettura (dislessia), scrittura (disgrafia e disortografia) e calcolo (discalculia), che si presentano in bambini con intelligenza nella norma. Queste difficoltà, che possono permanere per tutta la vita, si incontrano spesso insieme, e oltre a rendere difficoltoso l'apprendimento possono generare sentimenti di demoralizzazione, scarsa autostima e disaffezione nei confronti della scuola.
Le ricerche internazionali ci dicono che queste difficoltà sono presenti nei bambini adottati in percentuale quattro volte superiore alla norma. Divengono solitamente evidenti dopo i primi due anni di scolarizzazione, quando le abilità di lettura, scrittura e calcolo dovrebbero essere acquisite. E' importante riconoscerle per tempo, per evitare di attribuire gli insuccessi scolastici a tratti personali quali svogliatezza, pigrizia, scarsa concentrazione.
Sono cosa diversa dai disturbi specifici di apprendimento le difficoltà scolastiche generiche, che possono essere correlate a una immaturità psicologica e funzionale del bambino. Rallentamenti nello sviluppo delle funzioni intellettive causati da problematiche perinatali, situazioni di deprivazione precoce o traumi possono far sì che il bambino non sia pronto per gli apprendimenti scolastici adeguati alla sua età cronologica. Nel caso dei minori adottati in età scolare, aver iniziato i primi apprendimenti in una lingua diversa rappresenta un ulteriore fattore di rischio, così come l'aver frequentato nel paese d'origine scuole con insegnamento inadeguato.
Ma le problematiche maggiori sembrano presentarsi nell'ambito dell'attenzione, della concentrazione e della capacità di autoregolarsi.
Scarsa capacità di prestare attenzione alle consegne e alle spiegazioni, di mantenere la concentrazione, di memorizzare, di organizzarsi, di completare un compito in autonomia; iperattività, difficoltà nel controllo degli impulsi e nel rispetto delle regole: questi tratti si traducono in ostacoli potenti all'apprendimento, E un bambino che incontra tali difficoltà nell'imparare finisce o per utilizzare la passività come espediente per evitare di mettersi in gioco, o per assumere in classe condotte disturbanti e atteggiamenti oppositivi difficili da gestire. L'incapacità di contenere l'aggressività può generare atteggiamenti di rifiuto da parte dei coetanei, in un circolo vizioso che rischia di rendere questi bambini sempre più arrabbiati e intrattabili.
Anche queste problematiche possono essere presenti in soggetti di buona intelligenza, il che può trarre in inganno genitori e insegnanti che, soprattutto nel progredire del percorso scolastico, possono attribuire gli insuccessi a "cattiva volontà" e "scarso impegno", piuttosto che a difficoltà più radicate e più difficili da superare.
Ma da cosa dipendono queste difficoltà? Cosa appesantisce il percorso scolastico di un così gran numero di bambini adottati?
Va detto subito che non esiste una risposta univoca. Le ragioni possono essere molteplici e ascrivibili a fattori differenti, spesso in interazione tra loro. Dobbiamo aver chiaro che analoghe manifestazioni possono avere alla base cause diverse, di cui possiamo non avere conoscenza.
Sono tre le variabili che entrano in gioco: la biologia, la storia pregressa del bambino e l'ambiente attuale. Consideriamole una per una.

Le componenti biologiche.
Il cervello umano si forma e si differenzia nelle sue funzioni durante il periodo prenatale. L'affinamento della capacità sensoriali si completa entro l'età prescolare, mentre lo sviluppo dei sistemi responsabili delle attività cognitive superiori continua fino all'adolescenza. Si tratta di processi in parte automatici, in parte sensibili alle interazioni con l'ambiente: lo sviluppo neurologico di un bambino può cioè essere influenzato, oltre che da variabili genetiche, anche da eventi negativi o positivi, sia prenatali che postnatali.
La malnutrizione o l'assunzione di sostanze nocive da parte della madre in gravidanza, così come un suo profondo malessere emotivo o fisico, possono provocare un rallentamento dello sviluppo cerebrale del bambino, che potrà evidenziarsi nelle aree dell'acquisizione del linguaggio, del grafismo, delle abilità visuo-spaziali e cognitive (memoria, attenzione, concentrazione...), nei processi sociali ed emotivi (iperattività, difficoltà di controllo emotivo). Numerose ricerche hanno evidenziato che è soprattutto l'esposizione prenatale all'alcol ad avere, potenzialmente, gli effetti più dannosi sullo sviluppo neurologico del bambino.
Nel periodo successivo alla nascita, il normale sviluppo cerebrale può essere rallentato da un'alimentazione inadeguata, malattie, stimoli sensoriali e interazioni sociali carenti.
Alcuni studi di neurobiologia hanno dimostrato che nei primi anni di vita anche i traumi e le situazioni di istituzionalizzazione più critiche possono influenzare lo sviluppo cerebrale, alterando la produzione di cortisolo (il cosiddetto "ormone dello stress") e danneggiando il sistema di allarme interno di risposta allo stress, che finirà per attivarsi in modo anomalo e scattare con niente.
Se questi sono i fattori di rischio, non è detto che gli esiti siano per forza drammatici. Molti bambini si sviluppano bene anche in condizioni difficili, probabilmente poiché posseggono dei fattori genetici di protezione in grado di contrastare o di correggere tempestivamente i danni delle esperienze avverse.
Anche nei casi più critici, dobbiamo comunque ricordare che il cervello in fase evolutiva è un organo con incredibili capacità di recupero: benché alcune compromissioni possano essere permanenti, altri circuiti si possono riorganizzare grazie alla maturazione e all'esperienza. Questa considerazione deve spingerci a non scoraggiarci e a studiare gli interventi più efficaci per mettere in grado questi bambini, nel periodo post-adozione, di sviluppare al massimo le loro potenzialità.

Le componenti psicologiche.
Diverse teorie psicologiche ci vengono in aiuto per comprendere perché esperienze difficili e/o traumatiche sperimentate nella prima infanzia possono tradursi in ostacoli all'apprendimento.
Dobbiamo in primo luogo considerare che la scuola è un ambiente in cui riescono a dare il meglio di sé bambini fiduciosi e sicuri, capaci di entrare in sintonia con gli adulti, dotati della curiosità necessaria per usufruire delle opportunità offerte dalla scuola e per correre i rischi che l'apprendimento comporta.
Ma è difficile che un bambino adottato abbia ricevuto nella prima infanzia la protezione e la stabilità indispensabili per acquisire un tale senso di sicurezza e fiducia. La precoce separazione dalla madre biologica e la mancanza di continuità nei successivi legami di attaccamento tendono infatti a generare stili di attaccamento insicuri, orientati o all'evitamento del contatto emotivo o ad "aggrappamenti" accompagnati dal bisogno di controllo continuo dell'adulto, che si riflettono anche nel contesto scolastico.
Le ripetute interruzioni dei legami sperimentate dai bambini prima dell'adozione possono farli sentire "di scarso valore", non meritevoli di amore. L'autostima carente si traduce in sfiducia nelle proprie capacità e difficoltà a tollerare la frustrazione e l'insuccesso, laddove "imparare" comporta proprio il riconoscimento di non sapere (cioè la possibilità di tollerare la mancanza), la dipendenza da qualcuno che sa (cioè la possibilità di affidarsi) e infine la possibilità di ricevere e assimilare.
La mancanza, nei momenti iniziali della vita del bambino, di un adulto che lo abbia accudito amorevolmente, dando di volta in volta nome e significato alle sue prime esperienze sensoriali ed emotive, può rendere difficoltosa la costruzione di quel contenitore-mente che consente di dar senso, immagazzinare e collegare conoscenze ed esperienze.
Le rotture di continuità dovute alle ripetute interruzioni dei legami e alla stessa adozione possono riflettersi in una frammentazione e disorganizzazione del pensiero. Difese emotive come la rimozione o la scissione, utilizzate per tenere lontane e separate le esperienze dolorose del passato, possono attaccare la capacità di pensare, facendo perdere il contatto con alcune aree della mente e generando i meccanismi di inibizione cognitiva riconoscibili in quei bambini e adolescenti con buona intelligenza che manifestano inspiegabili "blocchi del pensiero".
Mentre alcuni di questi meccanismi hanno un carattere strutturale e sono difficilmente modificabili, altri sono di natura transitoria. Si presentano nei momenti critici e possono trarre grande vantaggio dalle funzioni di accoglienza, riconoscimento e valorizzazione che la scuola può offrire.

Le componenti ambientali.
L'ultima variabile è il contesto attuale, che può favorire o al contrario ostacolare il raggiungimento di risultati di apprendimento soddisfacenti. E' la variabile su cui è possibile intervenire, sia a scuola che a casa, per aiutare i bambini più vulnerabili.
Ma di questo parleremo in dettaglio in un prossimo articolo. 

Livia Botta
http://www.liviabotta.it
http://www.adozionescuola.it

venerdì 26 aprile 2013

Mediazione interculturale e adozione internazionale

Giovedì 2 Maggio 2013 ore 17,30
presso “Centro scuole e nuove culture”
Salita della Fava Greca, 8, Genova

Presentazione del libro
“Mediazione Interculturale e adozione internazionale”
di Manuela Magalhaes - Liberodiscrivere® edizioni

Intervengono alla presenza dell'autrice:  
AMINA DI MUNNO docente di letterature portoghese e brasiliana all'Università di Genova  
LIVIA BOTTA, psicologa, psicoterapeuta e formatrice 
Modera MARÍA EUGENIA ESPARRAGOZA, giornalista, antropologa, dottore di ricerca presso l'Università di Parigi

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: "Dei circa 4000 bambini che ogni anno entrano in Italia per adozione internazionale, ben il 60% hanno un’età superiore ai 5 anni: arrivano, pertanto, portando con sé un complesso bagaglio di memorie culturali. Per questi bambini all’ingresso nella nuova famiglia va a sommarsi dopo un breve periodo di tempo (dai tre ai sei mesi) l’ingresso nel mondo della scuola, con le sue regole esplicite e implicite, le nuove relazioni con compagni e insegnanti, una “lingua per imparare” non ancora ben padroneggiata. In questo libro Manuela Magalhães si interroga su come la mediazione linguistico-interculturale possa contribuire a sostenere la loro accoglienza e il successivo percorso di crescita" (Livia Botta) 
http://www.liberodiscrivere.it/biblio/scheda.asp?OpereID=162370 



mercoledì 17 aprile 2013

Buone notizie

Dopo parecchi mesi di silenzio, dovuti alla conclusione forzata del Progetto "Adozione e Scuola" e alla conseguente sospensione delle azioni di formazione e incontro tra insegnanti e genitori adottivi che partecipavano al progetto, questo blog riprende a funzionare per comunicare una notizia davvero importante.

Il 26 Marzo 2013 è stato finalmente sottoscritto un Protocollo d'Intesa tra il Ministero dell'Istruzione e il CARE (Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in Rete) col fine di "Agevolare l’inserimento, l’integrazione e il benessere scolastico degli studenti adottati". Il protocollo riconosce "che gli studenti in adozione hanno il diritto e il bisogno di vedersi accolti adeguatamente nei nuovi contesti sociali in cui accedono, vedendo riconosciute e valorizzate le proprie specificità, le differenze delle proprie storie, attraverso il supporto di personale in grado di utilizzare i più idonei strumenti atti ad agevolare il percorso di adozione". Le parti s'impegnano pertanto "ad agevolare il ruolo dei docenti nel processo di inserimento scolastico degli studenti adottati, fornendo un supporto informativo e strumenti adeguati per fronteggiare le eventuali criticità relazionali, comportamentali e cognitive".

Interessanti e mirate le attività che potranno essere realizzate, anche in collaborazione con le Equipe adozioni dei servizi territoriali e gli Enti autorizzati:
- opportunità di formazione per il personale della scuola;
- individuazione di referenti regionali e scolastici;
- sostegno aalla relazione famiglia adottiva - docenti;
- sostegno alle scuole e alle famiglie all'individuazione di percorsi di inserimento scolastico calibrati sui bisogni dei singoli studenti.

Attraverso il tavolo comune si prevede inoltre di "arrivare alla stesura di Linee Guida per l’individuazione di soluzioni organizzative e normative che assicurino l’accoglienza scolastica e la piena integrazione socio-culturale degli studenti adottati".

Si tratta di un primo passo ufficiale che si attendeva da tempo.Speriamo ora che si proceda celermente alla realizzazione delle azioni progettate, e che si possa vedere qualcosa di concreto già nel prossimo anno scolastico.

Il testo integrale del Protocollo d'Intesa è scaricabile dalla homepage del sito del CARE.

Livia Botta
 www.adozionescuola.it
www.liviabotta.it