Propongo anche io alcune considerazioni sulle letture che ho svolto.
In entrambi i casi si tratta di testi presentati nella bibliografia del corso, per cui già noti; penso però che possa comunque essere utile confrontarci riguardo impressioni personali di lettori. Pertanto, mi soffermerò soprattutto sugli aspetti che mi hanno maggiormente coinvolto, più che su una generica descrizione degli argomenti sviluppati.
Il primo libro è Figli di un tappeto volante di Simona Giorni, Edizioni Magi.
Come già osservato nei nostri incontri, dalla lettura, innanzitutto, emerge l’esigenza di saper riconoscere e considerare una pluralità di modelli famigliari ormai comuni nella società, senza rimanere vincolati a un concetto tradizionale che non deve apparire preferenziale.
Altro elemento significativo è costituito dalle indicazioni fornite circa le strategie di ascolto e comunicazione efficaci, che consentono la creazione di climi di classe sereni e accoglienti, di cui i ragazzi possono sentirsi effettivamente protagonisti. In particolare, l’esposizione mette in guardia da atteggiamenti spesso inconsapevoli che inficiano la possibilità di porsi in relazione, in quanto non si mostrano veramente aperti all’altro, ma accompagnano l’ascolto con tendenza a giudicare, moralizzare o comunque ricondurre una determinata individualità a stereotipi generali.
Tra i suggerimenti più specifici relativi all’accoglienza dei bambini adottati a scuola, si possono ricordare le indicazioni relative alla terminologia più adeguata da utilizzare e alle espressioni da evitare, in quanto connotano negativamente le realtà denotate (ad esempio, sì genitore biologico, no genitore vero o naturale, sì a porre in adozione, no ad abbandonare, ecc.).
Per quanto riguarda i percorsi didattici proposti per portare in classe il tema dell’adozione, sono apparsi particolarmente interessanti le plurime modalità di rappresentazione della struttura famigliare, alternative all’usuale e rigido albero genealogico, come il più ‘duttile’ cespuglio. I percorsi narrativi presentati pongono in rilievo l’efficacia della fiaba, che consente di esprimere, trasfigurandole, situazioni ed emozioni altrimenti difficilmente esplicitabili.
Il secondo libro è Stare bene insieme a scuola si può? di Emilia De Rienzo, UTET Università.
L’idea di scrivere questo testo è nata nell’autrice dopo il suicidio di un ragazzino adottato, che, nella sua ultima lettera, sottolinea la mancata accoglienza a lui riservata dalla scuola. Per l’autrice diviene così urgente domandarsi quali possano essere gli atteggiamenti e gli interventi più utili perché la scuola possa invece diventare un luogo in cui ogni bambino possa sentirsi compreso e sostenuto, qualunque sia la sua storia personale.
Quindi, attraverso il racconto di numerosi episodi della sua carriera di insegnante, la De Rienzo mette in evidenza la necessità, per chi opera nella scuola, di consentire a tutti di lavorare sulla propria interiorità, di imparare a riconoscere, chiarire e comunicare le proprie emozioni, rendendo la proposta didattica il più possibile funzionale a questo obiettivo. La stessa infatti ricorda che, fin dall’antichità, l’utilità della cultura è stata riconosciuta nella possibilità di approfondire la conoscenza di sé e dell’altro.
Connesso a questa considerazione è l’invito a non sottovalutare la dimensione emotiva degli allievi nel processo di insegnamento/apprendimento e a non considerarla separata rispetto a un’intelligenza concepita come autonoma. Diventare consapevoli delle proprie ansie e debolezze e affrontarle consente di accrescere la propria autostima e di guardare al futuro con maggiore speranza. In questa ottica, la scuola ha allora lo scopo non tanto di fornire strumenti cognitivi spendibili nella vita professionale, ma semmai di rendere gli individui più attenti, positivi e responsabili nell’affrontare la vita tout court.
Questo compito appare malinteso dall’utenza, specialmente in un periodo come il nostro, in cui la competitività è diventata un valore diffuso, anche a causa di un clima di insicurezza che si tende addirittura ad enfatizzare. Ma la scuola può dimostrare il proprio valore proprio aiutando i giovani ad affrontare l’età adulta con maggiore serenità e presentando modelli di rapporto improntati alla collaborazione all’integrazione costruttiva delle competenze di ognuno. Ascolto, empatia, comprensione, d’altra parte, devono accompagnarsi anche all’indicazione coerente e costante di un sistema di valori che condanna e limita comportamenti aggressivi e prevaricatori. La scuola dovrebbe arginare il crollo dell’autorità degli adulti, ormai irreversibile, conquistando un’autorevolezza che può nascere solo dalla reciproca fiducia.
Questi, in estrema e arbitraria sintesi, gli spunti che l’autrice propone per poter rispondere, finalmente, in modo affermativo alla domanda contenuta nel titolo.
Grazie per l’attenzione
Simone Bertone
Scuola media Don Milani
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