Adozione e Scuola

lunedì 27 aprile 2015

A proposito di BES e PDP

Ho ricevuto sulla mia posta personale una richiesta da parte di una mamma di ulteriori informazioni sulla normativa sui BES (Bisogni Educativi Speciali), citata da Simona Schenone in un suo post. Rispondo qui, e invito chi ha analoghe richieste di chiarimenti a farle tramite lo spazio “commenti” del blog, perché la risposta potrebbe interessare anche ad altri!
I BES sono entrati a far parte della normativa scolastica italiana nel 2012 (Direttiva Ministeriale “Strumenti d'intervento per alunni con bisogni educativi speciali” del 27-12-2012), allo scopo di potenziare l'inclusione e il benessere scolastico di bambini e ragazzi che presentano fragilità non riconducibili a una situazione di disabilità certificabile: “Ogni alunno – recita la normativa – in continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici o sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”. E ancora: "In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana”.
A questi alunni, tra cui possono essere compresi molti dei minori adottati, la scuola s'impegna a offrire una progettazione didattico-educativa mirata e personalizzata sulle loro effettive possibilità, da documentare mediante un Piano Didattico Personalizzato (PDP) elaborato collegialmente dai docenti che servirà a definire, monitorare, documentare le strategie d'intervento più idone e a renderle chiare ai genitori (che dovranno anch'essi firmare il PDP). Si tratta dunque di una progettazione didattica “su misura” e flessibile, che non richiede certificazioni di disabilità ma può essere decisa autonomamente da parte del Team dei docenti o del Consiglio di classe sulla base di ben fondate considerazioni pedagogiche e didattiche, e da attuare solo per il tempo necessario per raggiungere gli obiettivi concordati.
La mamma che mi ha scritto chiede se il ricorso ai BES (e il conseguente PDP) può essere chiesto anche dai genitori, o se deve essere proposto e deciso esclusivamente dalla scuola. Ritengo che nulla vieti ai genitori di richiederlo, o quanto meno di chiedere un confronto con gli insegnanti di classe sull'opportunità di usufruirne.
Questo è quanto posso dire io. Sarebbe però più interessante sapere, dalla voce di insegnanti e di genitori, se questo strumento viene effettivamente utilizzato con gli alunni adottati, se solo nella fase di accoglienza o anche più avanti, in relazione a quali problematiche, quali supporti e facilitazioni vengono concretamente messi in pratica, se se ne è verificata l'utilità, ecc.
Per chi è interessato ad approfondire, la normativa sui BES è reperibile a questo link.

Livia Botta
www.adozionescuola.it


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mercoledì 22 aprile 2015

Buone prassi. L'ambito amministrativo-burocratico

La seconda sezione delle Linee d'indirizzo (Le buone prassi) è a sua volta suddivisa in quattro ambiti: amministrativo-burocratico, comunicativo-relazionale, metodologico-didattico, della continuità.
Nella parte che tratta gli aspetti amministrativo-burocratici, le famiglie possono trovare tutte le informazioni necessarie ai fini dell'iscrizione a scuola. Rispetto all'iter standard, infatti, la condizione adottiva può richiedere procedure particolari, quali l'iscrizione in corso d'anno o, nel caso di adozioni nazionali, in fasi in cui l'adozione non sia stata ancora perfezionata.
Nel caso di adozioni nazionali, infatti, la famiglia adottante può dover affrontare lunghe fasi intermedie in cui i bambini risultano in affidamento preadottivo o anche “provvisorio” (nel caso delle cosiddette “adozioni a rischio giuridico”): periodo in cui il minore mantiene il cognome originario anche se vive già con la nuova famiglia. Nei casi in cui, nel primario interesse del bambino, il Tribunale dei Minorenni stabilisca di mantenere segreta la sua identità (quando sono stati del tutto interrotti i rapporti con la famiglia d'origine, che è opportuno non abbia modo di pervenire ad una sua individuazione), tale riservatezza va garantita anche dalla scuola.
In questi casi l'iscrizione andrà fatta direttamente presso la segreteria della scuola, evitando l'iscrizione on line. Una buona prassi ripresa dalle Linee d'indirizzo è quella adottata dall'Ufficio Scolastico del Piemonte (circolare 11/05/2011 “Note sull'iscrizione e l'inserimento scolastico dei minori affidati e adottati”, scaricabile a questo link), che prevede la possibilità che la scuola, nei casi sopracitati, prenda unicamente visione della documentazione presentata dalla famiglia adottante, senza trattenerla nel fascicolo personale dell'alunno, ma sostituendola con una dichiarazione del Dirigente scolastico attestante la presa visione di quanto richiesto per l'iscrizione o per l'eventuale passaggio ad altra scuola (nulla osta). I nomi degli alunni appariranno pertanto nei registri e in tutti i documenti scolastici con i cognomi degli adottanti, mentre l'identità d'origine non comparirà in nessun contesto.
Per quanto riguarda la documentazione richiesta per l'iscrizione, le scuole sono tenute ad accettare quella in possesso delle famiglie (rilasciata dai Paesi di provenienza, dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, dal Tribunale per i Minorenni) anche quando essa sia incompleta o in corso di definizione. Neppure la mancanza di certificazioni attestanti le vaccinazioni obbligatorie può precludere l'iscrizione, anche se in questo caso la famiglia dovrà rivolgersi ai servizi sanitari affinché siano accertati ed eventualmente eseguiti gli interventi necessari.

Livia Botta
www.adozionescuola.it

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martedì 14 aprile 2015

Le difficoltà legate ai cosiddetti disturbi di apprendimento spesso sono presenti in modo molto sfumato per quanto concerne dislessia e discalculia, ma sino a poco tempo fa la diagnosi (a volte un po’ “forzata”) era l’unico modo di dare spazio alle reali problematiche di attenzione e iperattività, che a loro volta richiedono strumenti compensativi e dispensativi. Ora con la possibilità di creare un percorso specifico tramite l’introduzione dei BES (bisogni educativi speciali) molte di queste situazioni possono trovare la loro definizione: i BES non necessitano di diagnosi e possono essere considerati “temporanei”: situazioni entrambe che tranquillizzano una famiglia già alle prese con tanti grandi e piccoli “intralci” nel loro quotidiano. Talora, però, alcune famiglie negano le difficoltà (“voi pensate che tutti gli adottati abbiano dei problemi”), e questo crea una distanza difficilmente colmabile tra scuola e famiglia, che dovrebbero creare un terreno e un linguaggio comune avendo sempre come principale finalità il bene e il benessere del bambino/ragazzo. Le famiglie e le scuole hanno un’arma potente a loro disposizione, che va conosciuta e ben impostata, perché può creare realmente una differenza di approccio risolutiva.

Per quanto riguarda l’acquisizione della lingua italiana, le considerazioni da “insegnante” sono molteplici. Giusto oggi un mio alunno più che bravo, dopo sei mesi di scuola media, ha detto: “Comincio a non capire più niente…” e io ho sorriso, perché finalmente è rientrato nella normalità… La velocità con la quale questi bimbi acquisiscono le regole base della lingua e le parole legate alla quotidianità, in alcuni casi stupefacente (parlo di pochi giorni, poche settimane dall’arrivo), porta spesso genitori e insegnanti a trascurare l’esercizio sistematico e preciso di un linguaggio specifico, soprattutto per quanto riguarda le discipline orali, il cui “scotto” prima o poi si pagherà. Ci accontentiamo che parlino, non li aiutiamo a parlare “bene”.. Occorre sì stupirsi delle loro capacità, ma anche non darle per scontate. Ci sono alcuni supporti semplici (dizionari visuali, rubriche autocompilate, utilizzo di e-reader con vocabolario incorporato, ecc.) che possono supportare in modo efficace queste naturali difficoltà. Io non sono una specialista del settore, ma vedo una realtà quotidiana di fatica, quando i miei alunni in Italia da anni, perfettamente scolarizzati ormai, mi dicono “io non ho una lingua-madre”… Che fatica… Oppure si rifiutano di imparare una seconda lingua straniera affine a quella che parlavano perché inconsciamente suscita troppi ricordi… Ogni materia porta con sé delle difficoltà che vanno comprese per poterle superare insieme.

Simona Schenone

venerdì 10 aprile 2015

Linee d'indirizzo alunni adottati. Le aree critiche (seconda parte)

Altri ambiti di criticità indicati nelle Linee d'indirizzo riguardano strettamente le caratteristiche attuali delle adozioni internazionali. Oggi 3 bambini adottati su 4 provengono dall'estero. Si tratta nella maggior parte dei casi di bambini già piuttosto grandi (l'età media all'arrivo si attesta intorno ai 6 anni), che al momento dell'adozione hanno appreso e parlano una lingua diversa dall'italiano, e che in molti casi sono già stati scolarizzati per qualche anno nel paese d'origine.

Il fatto che essi, generalmente, perdano in breve tempo la prima lingua e apprendano molto velocemente il vocabolario di base dell'italiano e le espressioni quotidiane utilizzate nelle conversazioni comuni non deve indurre a pensare che il cambio di lingua non rappresenti un problema. Una cosa infatti è il linguaggio utile per orientarsi nella quotidianità, che viene appreso in pochi mesi. Altro è la lingua dello studio che, soprattutto col procedere della scolarizzazione, richiede abilità molto più complesse, sia dal punto di vista grammaticale e sintattico che per quanto riguarda l'ampiezza del vocabolario. Queste acquisizioni possono essere difficili per i bambini adottati, in particolar modo per quelli che provengono da paesi con suoni e strutture linguistiche molto diverse dalle nostre e, nel caso di adozioni tardive, non essere complete neppure all'avvio della scolarizzazione superiore.

Da qui l'importanza di curare molto l'aspetto linguistico con un supporto dedicato sia a scuola che a casa; e questo non solo nella fase iniziale, in quanto difficoltà di comprensione e di esposizione non riconosciute potrebbero appesantire l'apprendimento in tutto il percorso scolastico.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è la scolarizzazione pregressa, che può esserci stata o meno, ed essere stata più o meno carente. Le situazioni dei paesi di provenienza sono infatti oggi piuttosto diversificate; molti bambini hanno ricevuto una scolarizzazione adeguata che li ha messi in grado di inserirsi con relativa facilità nel nuovo contesto scolastico (sono già abituati ad imparare, anche se in un contesto linguistico-culturale diverso); per altri, al contrario, la scolarizzazione può essere stata molto carente o non esserci stata affatto. In certi paesi, inoltre, l'obbligo scolastico inizia a 7 anni invece che a 6, e anche questo è un fattore da tenere in considerazione.

E' dunque importante che i genitori durante la permanenza nel paese d'origine del bambino acquisiscano la maggior quantità d'informazioni sulla sua scolarizzazione (se possibile recuperando e conservando anche libri e quaderni) e le trasmettano poi ai nuovi insegnanti perché ne tengano conto. E' fondamentale inoltre che questi ultimi si informino sui modelli educativi e relazionali e sulle modalità di espressione dei bisogni caratteristici dei paesi di provenienza dei bambini (spesso molto diversi dai nostri!), così da essere in grado di riconoscerli e rispettarli nei loro alunni adottati.

L'Istituto degli Innocenti di Firenze ha realizzato "Viaggio nelle scuole. I sistemi scolastici nei paesi di provenienza dei bambini adottati", una pubblicazione che illustra i sistemi scolastici della maggior parte dei paesi di provenienza dei bambini adottati. Potete scaricarla a questo link, o chiedere l'invio della versione cartacea direttamente all'Istituto degli Innocenti. Anche i mediatori culturali con cui le scuole solitramente lavorano possono essere importanti figure di riferimento per conoscere i modelli educativi e relazionali dei vari paesi.

Le Linee d'indirizzo sottolineano infine come ulteriore area di attenzione quella relativa all'identità etnica dei minori adottati.

E' importante che la scuola comprenda che l'alunno adottato prova, rispetto al paese e alla cultura d'origine, un'ambivalenza assai più accentuata di quanto non accada ai minori immigrati. I vissuti dei bambini adottati nei confronti del paese d'origine possono essere tanto diversi quanto diverse sono le loro storie: chi arriva già grande, con un bagaglio di abitudini e di conoscenze apprese nella cultura di appartenenza e chi, adottato piccolissimo, non ha ricordi del paese di nascita; chi ha conosciuto affetti familiari o altri legami di attaccamento che poi sono venuti meno e chi invece ha sperimentato precocissime esperienze segnate dalla solitudine e dall'abbandono; chi prova e manifesta nostalgia o orgoglio per le proprie radici e chi, al contrario, ha bisogno di tener lontani sentimenti troppo dolorosi.

Il contatto con la cultura di nascita subirà anche oscillazioni nel tempo: in certi momenti il bambino avrà bisogno di dimenticare, per poter dedicare tutte le proprie energie emotive alla costruzione dell'appartenenza al nuovo nucleo familiare e al nuovo contesto sociale, in altri sentirà il bisogno di recuperare e valorizzare la propria identità etnica: considerazioni che richiamano la necessità di usare cautela e delicatezza, di evitare forzature e di rispettare i tempi e la disponibilità deli alunni a mettersi in gioco quando si affrontano in classe attività che hanno a che fare con le differenze di culture.


Livia Botta
www.liviabotta.it
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martedì 7 aprile 2015

Linee d'indirizzo alunni adottati. Le aree critiche (prima parte)

Le linee d'indirizzo segnalano una serie di peculiarità che possono rappresentare aree critiche in una parte non trascurabile dei minori adottati. Esaminiamole nel dettaglio.

Numerose ricerche effettuate a livello nazionale e internazionale ci dicono che i bambini e i ragazzi adottati incontrano più spesso dei coetanei difficoltà di apprendimento. Disturbi specifici (dislessia, disgrafia, discalculia) sono presenti in percentuale quattro volte superiore alla norma, e anche generiche difficoltà scolastiche correlate a un'immaturità psicologica e funzionale si riscontrano con una certa frequenza. Ma le problematiche maggiori sembrano presentarsi nell'ambito dell'attenzione, della concentrazione e della capacità di autoregolarsi: scarsa capacità di prestare attenzione alle consegne e alle spiegazioni, di mantenere la concentrazione, di memorizzare, di organizzarsi, di completare un compito in autonomia, iperattività, difficoltà nel controllo degli impulsi e nel rispetto delle regole: questi tratti, presenti in una parte non trascurabile dei minori adottati, posso tradursi in ostacoli potenti all'apprendimento.

Da cosa dipendono queste difficoltà, che possono essere presenti anche in soggetti di buona intelligenza? Le ragioni sono molteplici e ascrivibili a fattori differenti, spesso in interazione.

In molti casi possono essere decisive le componenti biologiche.
Il cervello umano si forma e si differenzia nelle sue funzioni durante il periodo prenatale, affina poi le sue funzioni fino all'adolescenza. Si tratta di processi in parte automatici e dipendenti da variabili genetiche, in parte sensibili alle interazioni con l'ambiente, cioè ad eventi negativi o positivi sia prenatali che postnatali. La malnutrizione o l'assunzione di sostanze nocive (alcol soprattutto) da parte della madre in gravidanza, così come un suo profondo malessere emotivo o fisico, possono provocare un rallentamento dello sviluppo cerebrale del bambino, che potrà evidenziarsi nelle aree dell'acquisizione del linguaggio, del grafismo, delle abilità visuo-spaziali e cognitive (memoria, attenzione, concentrazione), nei processi sociali ed emotivi (iperattività, difficoltà di controllo emotivo).
Nel periodo postnatale, il normale sviluppo cerebrale può essere rallentato da un'alimentazione inadeguata, malattie, stimoli sensoriali e interazioni sociali carenti. Studi di neurobiologia hanno dimostrato che nei primi anni di vita anche i traumi e le situazioni di istituzionalizzazione più critiche possono influenzare lo sviluppo cerebrale, danneggiando il sistema interno di risposta allo stress, che comincia ad entrare in funzione anche in risposta a stimoli di scarsissima entità.
Se questi sono fattori di rischio, non è detto tuttavia che gli esiti siano per forza drammatici. Molti bambini adottati non hanno conosciuto esperienze così negative da influire in modo significativo sul loro sviluppo neurologico; altri si sviluppano bene anche in condizioni difficili, probabilmente perché posseggono dei fattori genetici di protezione in grado di contrastare i danni delle esperienze più avverse.

I vissuti difficili della prima infanzia possono tradursi in ostacoli all'apprendimento anche per ragioni di ordine psicologico.
La separazione dalla madre di nascita, le ripetute interruzioni dei legami sperimentati dai bambini prima dell'adozione possono farli sentire “di scarso valore”. Aver vissuto situazioni traumatiche o di trascuratezza può indurli a percepire l'ambiente in cui si trovano a vivere (qualsiasi ambiente, anche quello attuale!) come ostile e pericoloso. La possibilità di fidarsi degli adulti (di tutti gli adulti, anche di quelli amorevoli e affidabili del loro contesto di vita attuale!) può risultare danneggiata. L'autostima carente può tradursi in sfiducia nelle proprie capacità e difficoltà a tollerare frustrazioni e insuccessi anche minimi.
Se pensiamo che l'imparare comporta il riconoscimento di non sapere (cioè la possibilità di tollerare la mancanza), la dipendenza da qualcuno che sa (cioè la possibilità di affidarsi), la possibilità di ricevere e assimilare; se pnsiamo che la scuola è un ambiente in cui riescono a dare il meglio di sé bambini fiduciosi e sicuri, dotati della curiosità necessaria per correre i rischi che l'apprendimento implica, ci rendiamo subito conto di quanto possa essere arduo questo percorso per bambini che sono stati così feriti nel senso di sé durante la prima infanzia.
Ne consegue la necessità che la scuola si configuri per loro, in primo luogo, come ambiente sicuro e protettivo, e che i genitori non si pongano mete scolastiche troppo ambiziose prima di conoscere le reali possibilità e doti dei propri figli, in molti casi integre e ben sviluppate in ambiti diversi da quello logico-linguistico così importante a scuola (ad esempio nelle aree espressive, o nelle capacità operative).

In un prossimo post esamineremo le criticità connesse, nei bambini adottati internazionalmente, al cambiamento di lingua. 

Se volete saperne di più sulle conseguenze della trascuratezza emotiva nell'infanzia, potete leggere a questo link l'articolo di Bruce D. Perry "Legame e attaccamento nei bambini maltrattati".
Per comprendere più a fondo le difficoltà che possono incontrare a scuola bambini che hanno vissuto esperienze avverse nella prima infanzia e trovare indicazioni su strategie per aiutarli vi consiglio la lettura del bel libro di Louise Bombèr “Feriti dentro. Strumenti a sostegno dei bambini con difficoltà di attaccamento a scuola” (ed. Franco Angeli).
A  questo link trovate invece il testo completo delle Linee d'indirizzo.

Livia Botta
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