Il 23 gennaio c'è stato il primo incontro del gruppo con alcuni genitori adottivi che hanno figli che frequentano la scuola elementare e media. Lo scopo era quello di confrontrare le rispettive esperienze e aspettative e di cominciare a individuare insieme i bisogni espliciti e impliciti che i bambini e i ragazzi adottati portano a scuola.
E' stato un incontro estremamente utile e interessante. Dal confronto di esperienze, dai racconti di genitori e insegnanti sono emerse situazioni positive, ma anche una serie di nodi critici che richiedono attenzione.
Un aspetto meritevole di riflessione è stato il divario nelle esperienze di rapporto con la scuola emerso dai racconti dei genitori. Il fatto di vivere o meno un'esperienza scolastica positiva, di trovare una buona intesa con gli insegnanti dei propri figli sembra dipendere quasi esclusivamente dalle caratteristiche personali e dalla sensibilità dei singoli insegnanti, piuttosto che dalle strategie educative di cui la scuola si dice portatrice.
Se questo è un problema generalmente presente nella scuola (spesso è l'insegnante a fare la differenza, piuttosto che la qualità dell'offerta complessiva della scuola), nel caso della sensibilità nei confronti dei bambini e ragazzi adottati e delle loro famiglie il fenomeno sembra ancor più macroscopico. Segno, questo, della mancanza di una cultura dell'adozione e di un modello d'intervento condiviso che definisca alcuni criteri di riferimento per l'inserimento a scuola dei bambini adottati (come accoglierli, cosa fare e cosa non fare, quali attenzioni avere per bambini e genitori, come affrontare le situazioni difficili, ecc.).
Anche in questo incontro è inoltre risultato evidente come un problema che può creare difficoltà ai bambini e turbare la sensibilità delle loro madri è la modalità di approccio alla storia personale, soprattutto nella scuola dell'infanzia e primaria. Ancora oggi (anche se la presenza a scuola di bambini adottati è ormai fenomeno diffuso) capita infatti che libri di testo e insegnanti continuino a proporre attività (richiesta di informazioni sui primi mesi/anni di vita, richiesta di foto del bambino neonato, ecc.) che mettono in difficoltà sia i bambini adottati che le loro madri.
Eppure non sarebbe difficile avvicinarsi alla storia personale in modo più rispettoso delle differenze. Esistono già proposte didattiche in tal senso. Ma forse, anche senza ricorrere a unità didattiche strutturate, basterebbero pochi accorgimenti e correttivi per affrontare queste tematiche con modalità che tengano conto che in classe sono molto spesso presenti bambini con storie personali e familiari "non standard".
LIVIA BOTTA
http://www.psicologia-genova.it/
Nessun commento:
Posta un commento