Articolo pubblicato sul numero di aprile 2013 di "ADOZIONE E DINTORNI", rivista dell'associazione Genitori Si Diventa
Nell’articolo precedente abbiamo analizzato una serie di
prassi e atteggiamenti “di cornice”, indispensabili per una buona accoglienza e
un buon accompagnamento scolastico degli alunni adottati. Prenderemo ora in
considerazione alcuni interventi più specifici e “tecnici”, utili per
affrontare problematiche e bisogni particolari che possono presentarsi, senza
dimenticare che oggi la scuola sta attraversando una profonda crisi, che si
manifesta in primo luogo con una scarsità di risorse che rende più faticoso il
lavoro degli insegnanti e rischia di penalizzare gli alunni con particolari
bisogni o fragilità.
LA COMPETENZA LINGUISTICA
Un aspetto che si tende a sottovalutare, ma che è invece da
tener ben presente, è che i minori adottati, soprattutto se arrivati in Italia
in età scolare, fanno spesso fatica a scuola per la loro carente competenza
linguistica.
Perché se è vero che i bambini adottati hanno tempi
inaspettatamente brevi nell’apprendere l’italiano, di che italiano si tratta, tuttavia?
Della lingua della quotidianità, fatta di un vocabolario limitato, adatto per
cavarsela nella vita di tutti i giorni ma insufficiente per padroneggiare il
linguaggio dell’apprendimento scolastico, carico di polisemie, sfumature,
nessi, inferenze, riferimenti culturali. Il rafforzamento della padronanza
dell'italiano è pertanto fondamentale, e va portato avanti non solo all’inizio,
ma anche nelle fasi più avanzate del percorso scolastico, che richiedono
competenze linguistiche sempre più raffinate.
Nella fase iniziale, per i bambini che arrivano già in età
scolare, può essere utile l’intervento di un mediatore
linguistico-interculturale: una figura della stessa lingua e cultura d’origine
del bambino, che interviene per un numero limitato di ore, su richiesta della
scuola, per offrirgli un primo supporto linguistico e per introdurlo a
comportamenti e modi di apprendere che possono essere anche molto diversi da
quelli del suo paese di provenienza. Insegnanti forniti di una preparazione
specifica per l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua (Italiano L2)
potranno invece seguirlo con interventi più distesi nel tempo, sia
individualmente che in piccolo gruppo, per aiutarlo a sviluppare ulteriormente
le sue competenze linguistiche, in raccordo con i programmi scolastici: sempre
che la scuola disponga delle risorse necessarie per attivare questi percorsi,
che non rientrano nella didattica standard.
I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI (BES)
Una recente normativa scolastica, volta a potenziare la
cultura dell'inclusione, presenta elementi d'interesse per l'accompagnamento
scolastico dei bambini e dei ragazzi adottati.
La Direttiva Ministeriale "Strumenti d'intervento per
alunni con bisogni educativi speciali" del dicembre 2012 prende atto,
infatti, della complessità e del contesto variegato delle nostre classi
scolastiche, all'interno delle quali non è raro incontrare alunni che possono
manifestare, con continuità o solo in certi periodi, disturbi evolutivi
specifici, difficoltà cognitive lievi, situazioni di svantaggio culturale,
sociale o linguistico non ascrivibili a disabilità certificabili. A questi
alunni la scuola s'impegna a offrire una progettazione didattico-educativa
mirata e personalizzata sulle loro effettive possibilità, da documentare
mediante un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che servirà agli insegnanti
come strumento di lavoro in itinere e renderà chiare alle famiglie le strategie
d'intervento programmate.
Si tratta di un'innovazione che potrà risultare utile per i
bambini e i ragazzi adottati che presentano fragilità non riconducibili a una
situazione di disabilità: essi potranno trarre vantaggio da una progettazione
didattica "su misura" e flessibile, attuata solo per il tempo
necessario e con obiettivi da raggiungere concordati, che in molti casi potrà
avere anche una funzione tranquillizzante, con una buona ricaduta sul
comportamento del bambino.
I DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO (DSA)
Anche in presenza di disturbi specifici di apprendimento
(che vedono compromesse le abilità che rendono automatici i processi legati
alla lettura, alla scrittura e al calcolo in soggetti con intelligenza nella
norma, e che sappiamo essere presenti negli alunni adottati in percentuale
leggermente superiore rispetto alla restante popolazione scolastica) la scuola
è tenuta a elaborare un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e ad attivare
tutte le strategie che permettano al bambino di rendere al meglio, tenendo
conto delle sue difficoltà, potenzialità e caratteristiche.
La normativa di riferimento (la Legge 170/2010 e le
successive Linee Guida) prevede che, a partire da una diagnosi specialistica
che accerti la presenza e l'entità del disturbo, venga stilato un Piano
Personalizzato che disponga gli strumenti dispensativi e compensativi (ad
esempio la possibilità di utilizzare in classe la calcolatrice e il computer,
il sussidio di tabelle e mappe concettuali, l'assegnazione di prove di verifica
più brevi, le interrogazioni programmate...) che mettano gli alunni con DSA
nelle stesse condizioni di apprendere dei loro compagni.
Nel caso di bambini adottati in età scolare, è importante
ricordare che una diagnosi specialistica di DSA può essere effettuata solo dopo
che siano state sufficientemente acquisite le competenze di lettura e scrittura
nella nostra lingua, dunque non prima di una paio d'anni dall'arrivo.
IL SOSTEGNO
I Piani Didattici Personalizzati di cui ai punti precedenti
non prevedono l'assegnazione alle classi di risorse aggiuntive. Devono essere
gli insegnanti di classe a farsi letteralmente "in quattro" per
metterli in pratica, calibrando e differenziando la didattica quotidiana in
base ai bisogni dei singoli alunni. E a volte questa può rivelarsi un'impresa
quasi impossibile, quando le differenze contemporaneamente presenti in una
classe sono tante!
Nel caso di alunni con una certificazione di disabilità
(rilasciata ai sensi della Legge 104/1992 ), invece, viene assegnato alla
classe, per un numero di ore settimanali correlato alla gravità del caso, un
insegnante specializzato nel sostegno, che può affiancare l'alunno durante il
normale lavoro di classe o in attività specifiche in aule appositamente
attrezzate. L'assegnazione del sostegno è decisa dagli Uffici Scolastici
Regionali tenuto conto delle risorse a disposizione (purtroppo scarse al momento!)
e sulla base delle certificazioni stilate dal Servizio di Neuropsichiatria
Infantile della ASL di riferimento, che accertano la natura e l'entità della
disabilità ed evidenziano le capacità e le potenzialità del bambino. Anche in
questo caso viene stilato e sottoscritto collegialmente (scuola, servizi,
famiglia) un Piano Educativo Individualizzato (PEI), che contiene gli obiettivi
didattici ed educativi da raggiungere, calibrati sulle possibilità reali
dell'alunno, nonché tutti gli interventi individualizzati previsti.
Spesso i genitori, anche di fronte a deficit evidenti, sono
restii ad attivare le procedure necessarie per poter ottenere il sostegno, nel
timore che la certificazione possa fare del loro figlio un "diverso"
o farlo sentire emarginato rispetto al resto della classe. Dipende ovviamente
dalla sensibilità degli insegnanti non far pesare l'intervento di sostegno come
uno stigma (non dimentichiamo che l'insegnante di sostegno è un insegnante di
classe che può lavorare con tutti gli alunni!). I timori dei genitori sono
comprensibili, essi dovrebbero tuttavia considerare con attenzione i benefici
che la certificazione garantisce, che possono essere fondamentali per
consentire al figlio una scolarizzazione serena per l'intero iter scolastico.
Una programmazione didattica semplificata, con obiettivi chiari e
raggiungibili, può infatti tranquillizzare il bambino e disporlo più
favorevolmente all'apprendimento. Avere un insegnante "tutto per sé",
soprattutto nella scuola secondaria quando le discipline e i docenti si
moltiplicano, può significare disporre di un punto di riferimento, un faro per
orientarsi tra insegnanti e discipline: impresa assai più impegnativa di quanto
si pensi per gli alunni più fragili dal punto di vista cognitivo o relazionale.
GLI OPERATORI SOCIO-EDUCATIVI (OSE)
Si tratta di personale specializzato che non fa parte
dell'organico della scuola, ma che può essere richiesto all'Ente Locale, in
accordo con le famiglie, per un limitato numero di ore alla settimana per gli
alunni con disabilità riconosciuta. Gli operatori socio-educativi possono
essere richiesti per sostenere bambini e adolescenti con disturbi del
comportamento, che necessitano di migliorare le autonomie personali, che hanno
bisogno di una migliore identificazione nell'adulto.
L'intervento degli OSE non sostituisce le attività
didattiche, ma prevede la realizzazione di percorsi a carattere educativo
integrati nel Piano Educativo Individualizzato e finalizzati a favorire
l'integrazione, potenziare le autonomie personali, promuovere uno stato di
benessere nel contesto scolastico.
Come si vede, il ventaglio di opportunità che possono essere
sfruttate per accompagnare al meglio il percorso scolastico degli alunni -
adottati e non - è ampio. Del resto anche i bambini e i ragazzi adottati che
frequentano le nostre scuole sono soggetti unici e irripetibili, e diversi sono
i loro bisogni: se per qualcuno sarà necessario un percorso individualizzato e
"sostenuto" per l'intero iter scolastico, per altri sarà sufficiente una
buona accoglienza iniziale... senza tralasciare tutte le possibili soluzioni
intermedie. Sta alla professionalità e alla sensibilità degli insegnanti, unite
alla disponibilità e collaborazione delle famiglie, orientarsi tra le diverse
possibilità d'intervento per individuare l'aiuto che sia nello stesso tempo più
utile e meno ridondante.
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