Articolo pubblicato sul numero di marzo 2013 di "ADOZIONE E DINTORNI", rivista dell'associazione Genitori Si Diventa.
Concludevo il precedente articolo
“La fatica di imparare” con l’affermazione che il contesto attuale in cui il
bambino adottato si misura con l’apprendimento (l’ambito familiare, la scuola)
può fare molto per favorire - ma anche purtroppo per ostacolare - il
raggiungimento di risultati scolastici soddisfacenti. Soprattutto per i bambini
più vulnerabili, diventa dunque cruciale individuare le diverse variabili su
cui è possibile intervenire e le prassi più idonee da mettere in atto.
Sul versante “scuola”, la prima
riflessione è che uno dei principali ingredienti – forse il principale – della
possibilità d’imparare è la qualità dell’intreccio relazionale che si instaura
tra l’alunno, l’insegnante, l’oggetto di apprendimento, il gruppo dei coetanei.
Per un bambino fragile, che è stato ferito nella fiducia nelle proprie capacità
e negli altri, dirigere le proprie energie verso l’apprendimento sarà possibile
solo in un contesto sicuro, costante e prevedibile, che non gli faccia
ri-sperimentare la frustrazione del fallimento. Sarà pronto a manifestare il
suo desiderio d’imparare in un contesto accogliente e supportivo, se gli si
proporranno obiettivi e attività calibrati sulle sue possibilità, abbastanza
semplici da risultargli comprensibili e raggiungibili grazie all’aiuto dell’adulto
e sufficientemente interessanti per lui. In caso contrario, tenderà a reagire
con la passività o con comportamenti oppositivi.
Quanto detto è vero per tutti i
bambini, ma diventa cruciale per quelli che hanno subìto perdite o traumi, o
hanno conosciuto situazioni di trascuratezza fisica o emozionale che hanno
minato il loro senso di sicurezza. Mentre un bambino fiducioso nelle proprie
capacità e con un sicuro senso di sé può, infatti, reagire in modo costruttivo
anche a livelli di frustrazione elevati e non scoraggiarsi se l’obiettivo da
raggiungere non è immediato, non è così per un soggetto più fragile, per il
quale ogni frustrazione si tramuterà in un senso di vergogna che lo ferirà nel
cuore dell’identità e che potrà azzerare la normale curiosità di conoscere e di
imparare tipica dei bambini.
Gli alunni con queste difficoltà
vanno pertanto sostenuti e incoraggiati, con una presa in carico empatica,
fatta di tanti piccoli gesti che consentano loro di riconoscere l’insegnante
come figura di attaccamento. Fino a quando non si sentiranno sufficientemente
sicuri, andranno accompagnati passo passo nell’imparare, con le strategie che
le/gli insegnanti ben conoscono: ridurre i contenuti e porre pochi obiettivi
per volta; evitare le attività che si prolungano eccessivamente e proporre
prove di verifica brevi; far utilizzar schemi o griglie per contrastare la
dispersione del pensiero; non eccedere col registro verbale ma usare materiali
iconografici e strumenti tecnologici; valutare le singole prestazioni, sottolineando
i successi per potenziare l’autostima ma anche riflettendo sugli insuccessi per
aiutarli a sviluppare un’immagine realistica delle proprie capacità; creare
occasioni in cui possano mettere a frutto abilità che, per la loro storia e
provenienza, potrebbero possedere in aree diverse da quelle linguistiche o
logiche: capacità di costruire oggetti, di apprendere visivamente, di risolvere
problemi concreti. Sono tutte strategie che, oltre ad aiutare concretamente il
bambino, lo faranno sentire “contenuto” nella mente di un insegnante
disponibile e capace di andare a incontrarlo là dove egli si trova.
Sono comportamenti che vanno
comunque calibrati con misura: l’attenzione mirata non deve tramutarsi in
atteggiamenti troppo protettivi, che potrebbero trasmettere un messaggio di
diversità e svalutazione negativo per il bambino e ostacolare il suo positivo
inserimento nel gruppo. Occasioni di apprendimento cooperativo che sollecitino
accettazione e aiuto reciproco, esperienze di tutoraggio tra compagni che
possano trasformarsi in relazioni amicali saranno invece preziosi per aiutare
il bambino a sentirsi a proprio agio tra i pari.
L’integrazione nella classe
risulterà inoltre più facile se i compagni saranno stati educati a considerare
l’adozione come una delle possibili e normali modalità di “essere famiglia”.
Affinché ciò accada, la scuola dovrebbe promuovere un’educazione ai rapporti
familiari fondata sulla dimensione affettiva e progettuale, inserendo le
tematiche legate al concetto di famiglia e di genitorialità tra gli altri
argomenti di studio ed evitando di trattare l’argomento “famiglia adottiva”
precipitosamente e solo a ridosso dell’ingresso di un compagno adottato, come
invece spesso succede.
Evitare, quando si parla di
famiglia e di genitorialità, di riferirsi allo stereotipo di una coppia con
figli biologici; creare occasioni per parlare della famiglia complessa e
articolata di oggi (famiglie monoparentali, ricomposte, con genitori separati o
divorziati, famiglie che si ricompongono solo nel weekend, matrimoni misti,
famiglie con figli adottivi o in affido); sottolineare la funzione affettiva
della famiglia, intesa come capacità di saper assolvere vicendevolmente ai
bisogni fondamentali delle persone (fisiologici, di sicurezza, di appartenenza e
di amore, di stima e di autorealizzazione): questo lavoro porterà beneficio a
tutti i bambini con famiglie non tradizionali, non solo a quelli adottati, con
effetti positivi sul loro benessere psicologico e sul loro senso di sicurezza e
di appartenenza.
Risulterà inoltra assai utile
leggere o raccontare storie, o proiettare filmati, che presentino come naturali
le diverse declinazioni della genitorialità, o storie che riflettano
metaforicamente le problematiche di cui un bambino adottato può essere portatore.
Un racconto può infatti parlare ai bambini di molte verità importanti in modo
indiretto, avvalendosi del potere evocativo della metafora: si aiuterà così il
bambino adottato a conoscersi meglio e a sviluppare la propria personalità
senza sottoporlo a domande sulla sua storia, mentre i compagni saranno indotti
a riflettere e ad accettare come naturale la sua condizione.
Mentre si affrontano queste
tematiche, si potrà fare qualche accenno alla storia del compagno adottato, ma
in modo molto “leggero” e solo per dargli la consapevolezza che lo teniamo
nella mente, evitando invece di porlo sotto i riflettori con domande dirette.
E’ meglio aspettare che sia lui, quando lo vorrà, a parlare della propria
realtà familiare e della propria storia. Questo accadrà se ci sarà un buon
clima e se il bambino percepirà la sua classe come un posto sicuro in cui poter
stare “tutto intero”.
Lavorare in classe per facilitare l’inclusione significa
anche evitare di proporre attività da cui i bambini adottati possano sentirsi esclusi.
E qui entra in gioco la spinosa questione dell’approccio alla storia personale.
Sappiamo infatti che solitamente nel secondo anno delle elementari (talvolta
anche prima) si cominciano a insegnare ai bambini i primi concetti storici a
partire dalla storia personale e da quella della propria famiglia, e che anche
negli anni successivi (ad esempio all’inizio della scuola media) questo
approccio può essere riproposto.
Si tratta di un lavoro bello e importante, che aiuta gli
alunni a collocare nel tempo fatti ed esperienze vissute, a riconoscere i
rapporti di successione e contemporaneità, a prendere dimestichezza con i
concetti di fonte storica, datazione, generazioni. È un lavoro che può essere
di grande utilità per i bambini adottati e per altri il cui percorso di vita ha
conosciuto vari passaggi, ma che può creare sofferenza se non viene affrontato
con attenzione e sensibilità. Va pertanto programmato con la massima cura,
ricordando che in una classe possono esserci bambini che non conoscono l’inizio
della loro storia e forse neppure il nome della madre biologica, altri (come i
bambini in affido) con situazioni familiari difficili alle spalle, altri ancora
che hanno perduto i genitori o ne sono stati allontanati, bambini migranti che
non hanno portato con sé alcun bagaglio materiale di ricordi. Per tali ragioni
è importante mantenere un dialogo aperto con le famiglie, avvertendole in
anticipo di quel che verrà fatto, raccogliendo le informazioni indispensabili
per una programmazione che non escluda nessuno, mantenendo i progetti
flessibili e rispettosi delle variabili presenti nella classe.
Alla pagina http://www.adozionescuola.it/adozione_00000f.htm del sito www.adozionescuola.it ho raccolto esempi di diversa provenienza di attività sulla storia personale o sull'albero genealogico da realizzare in classi in cui siano presenti alunni adottati. Ma sta soprattutto alla creatività e alla sensibilità dell'insegnante calibrare i progetti sulla realtà dei singoli alunni, facendo sì che nessun bambino possa sentirsi diverso in senso negativo. Né va dimenticato che queste attività possono mettere a disagio non solo i bambini adottati ma anche i loro genitori, in difficoltà quando devono aiutarli nel compito impossibile di ricostruire il loro passato, anche perché la mancata conoscenza della storia precoce dei figli è un vuoto doloroso anche per loro.
Non dobbiamo nasconderci, tuttavia, che questi interventi, finalizzati a favorire il benessere del bambino adottato nella classe e dunque a disporlo positivamente all'apprendimento, non sono di agevole realizzazione nel difficile momento attuale, in cui gli insegnanti, nei diversi gradi di scuola, si trovano di fronte classi numerose di alunni portatori di molteplici diversità, in una situazione complessiva di scarsità di risorse per la scuola (personale, sussidi, formazione) che limita la possibilità di dare la giusta attenzione ai soggetti più deboli. Sono, inoltre, solo una parte delle strategie da mettere in atto, quelle che potremmo chiamare "di cornice". In molti casi possono essere necessari interventi mirati su problematiche specifiche più direttamente didattiche: di questo parleremo nel prossimo articolo.
Alla pagina http://www.adozionescuola.it/adozione_00000f.htm del sito www.adozionescuola.it ho raccolto esempi di diversa provenienza di attività sulla storia personale o sull'albero genealogico da realizzare in classi in cui siano presenti alunni adottati. Ma sta soprattutto alla creatività e alla sensibilità dell'insegnante calibrare i progetti sulla realtà dei singoli alunni, facendo sì che nessun bambino possa sentirsi diverso in senso negativo. Né va dimenticato che queste attività possono mettere a disagio non solo i bambini adottati ma anche i loro genitori, in difficoltà quando devono aiutarli nel compito impossibile di ricostruire il loro passato, anche perché la mancata conoscenza della storia precoce dei figli è un vuoto doloroso anche per loro.
Non dobbiamo nasconderci, tuttavia, che questi interventi, finalizzati a favorire il benessere del bambino adottato nella classe e dunque a disporlo positivamente all'apprendimento, non sono di agevole realizzazione nel difficile momento attuale, in cui gli insegnanti, nei diversi gradi di scuola, si trovano di fronte classi numerose di alunni portatori di molteplici diversità, in una situazione complessiva di scarsità di risorse per la scuola (personale, sussidi, formazione) che limita la possibilità di dare la giusta attenzione ai soggetti più deboli. Sono, inoltre, solo una parte delle strategie da mettere in atto, quelle che potremmo chiamare "di cornice". In molti casi possono essere necessari interventi mirati su problematiche specifiche più direttamente didattiche: di questo parleremo nel prossimo articolo.
Livia Botta
http://www.liviabotta.it
http.//www.adozionescuola.it
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