Le "Linee d'indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati" si compongono di quattro
parti: Introduzione, Buone prassi, Ruoli e
Formazione.
La parte iniziale contiene le
conoscenze fondamentali per una prima sensibilizzazione di docenti e
dirigenti scolastici. Si porta alla loro attenzione la specificità
della condizione adottiva e si indicano alcuni possibili fattori di
vulnerabilità che potrebbero avere ripercussioni sulla
scolarizzazione, con l'importante sottolineatura, tuttavia, che ogni
bambino è un caso singolo, che per molti minori adottati il percorso
scolastico si snoda in modo sereno e positivo e che pertanto
l'auspicabile attenzione mirata non deve trasformarsi in
un'aspettativa di problematicità.
Ritengo questa parte di estrema
importanza, spero che sia letta con attenzione prima di passare alle
sezioni più ricche di suggerimenti operativi. Credo infatti che sia
prioritario per un insegnante tenere nella mente la condizione
esistenziale di questi bambini, provare a immaginare quello che hanno
provato e provano, e poi usare sensibilità unita a professionalità
per calibrare le proprie proposte didattiche e modalità di
relazione. Penso che sia questa la strada per ottenere risultati
migliori, piuttosto che applicare in modo automatico strategie e suggerimenti operativi.
Ma chi sono i bambini adottati? Oggi li incontriamo nelle nostre aule curati e accuditi
con affetto da genitori attenti. Ma questa realtà non deve farci
dimenticare le situazioni complesse che tutti hanno alle spalle. Si
tratta infatti di bambini allontanati dai genitori biologici per
gravi trascuratezze, maltrattamenti, abusi, tossicodipendenza o
alcolismo dei genitori; o bambini senza radici abbandonati in luoghi
pubblici, o rifiutati perché frutto di rapporti occasionali o
interni allo stesso nucleo familiare. Tutti condividono il trauma
della separazione dalla madre biologica e gravi carenze nelle cure
primarie, a cui – nel caso delle adozioni internazionali – si
aggiunge il periodo di istituzionalizzazione nel paese d'origine:
caratterizzato, a seconda dei casi, da una relativa stabilità
affettiva o da ripetute rotture di legami, quando non da
maltrattamenti e abusi. Anche se la storia di ogni bambino è unica e
ogni adozione è diversa dalle altre, non va dunque dimenticato che i
minori adottati sono sempre portatori di una sofferenza più o meno
grande: una sofferenza che non si dimentica, e che anche quando è
precocissima resta inscritta nella memoria corporea. La frase che si
sente pronunciare troppo spesso “Era tanto piccolo, non si
ricorda nulla!” è dunque sbagliata e frutto di ignoranza.
Altrettanto sbagliato è pensare, per
esempio di fronte a certe crisi adolescenziali, “Ormai sono
passati tanti anni, cosa c'entra l'adozione?”. Perché se è vero che l'adozione è la cura migliore per un minore
abbandonato o allontanato dalla famiglia di nascita, è anche vero
che essa richiede un faticoso adattamento, soprattutto per i bambini
provenienti da altre culture. E' difficile l'inizio, che può
rappresentare una nuova esperienza di sradicamento disorientante:
nuovi odori, suoni, colori e paesaggi, azioni di cura che risultano
estranee... Ma anche molto più avanti, in momenti critici
dell'esistenza (tipicamente l'adolescenza) alcune vulnerabilità
possono tornare in primo piano e mettere a dura prova sia il ragazzo
che i suoi genitori.
Le aree critiche che in certi casi (ma
non sempre!) vanno a ripercuotersi negativamente sulla
scolarizzazione riguardano difficoltà di apprendimento
e difficoltà psicoemotive,
a cui possono sommarsi, per i più grandi, una carente
scolarizzazione nel paese d'origine
e la necessità di apprendere in una lingua,
l'italiano, non ancora ben padroneggiata, nonché le eventuali
problematiche relative all'identità etnica.
Le esamineremo prossimamente in dettaglio.
Le esamineremo prossimamente in dettaglio.
Livia Botta
www.liviabotta.it
www.adozionescuola.it
LINEE D'INDIRIZZO ALUNNI ADOTTATI
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